Omo (OMO)

Omo non è un villaggio1 in senso stretto ma identifica un’area piuttosto estesa nel sud dell’Etiopia ai confini con il Kenya e il Sud Sudan, nella regione Nazioni Nazionalità e Popoli del Sud, zona South Omo, distretto Dasenech.

Amministrativamente l’Etiopia è uno stato federale suddiviso in dieci stati regionali (o regioni) e due città autonome, Addis Abeba e Dire Daua. Gli stati regionali, politicamente autonomi, sono a loro volta divisi in zone, le zone in distretti (woreda) e i distretti in quartieri (kebele). Le regioni, costituite su base etnica e linguistica, variano enormemente per superficie e popolazione. La regione Sidama è stata istituita il 18 giugno 2020 a seguito di un referendum a favore di una maggiore autonomia, tenutosi nell’ex zona Sidama, fino ad allora appartenente alla regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud.

Il “villaggio” Omo è abitato dai Daasanach, chiamati anche Galeb, Dama, Merile o Geleb, un piccolo gruppo etnico (48.230 persone in base al censimento del 2007) che vive prevalentemente in Etiopia lungo la valle dell’Omo dove l’omonimo fiume si immette nel Lago Turkana (il loro nome significa “popolo del delta”). Altri gruppi, meno numerosi, vivono in Sud Sudan e Kenya (circa 12 mila). Originari di quest’ultimo paese, sono in fuga da anni, perseguitati dall’espansione di altri gruppi tribali ostili. Dalle sponde del lago Turkana dove inizialmente vivevano, si sono spostati verso nord anche per cercare nuovi pascoli. Oggi è l'ultima etnia che vive lungo il fiume Omo e anche tra le più isolate e a rischio. Come per molti popoli della valle dell'Omo questa etnia è soggetta oltre alle carestie, ai rischi dovuti ai progetti invasivi (si pensi alla diga Gibe III sul fiume Omo e gli effetti nefasti sulle attività tradizionali delle comunità locali) e ad una forte attrazione da parte del turismo internazionale con le conseguenze negative che questa comporta.

I Daasanach hanno una complessa struttura sociale a discendenza patrilineare e articolata in classi di età (con una serie di riti di passaggio) divisa in 8 sezioni territoriali (chiamati emeti) con grande autonomia sulle questioni interne, e a loro volta suddivisi in massimo 8 clan. I loro villaggi sono molto semplici con capanne, costruite dalle donne, a forma di basse cupole costituite da una cornice di rami, ricoperte di pelli e scatole intrecciate (che vengono utilizzate per trasportare i beni sugli asini quando migrano). Le capanne hanno un focolare e il pavimento in terra battuta, utilizzato per dormire, è ricoperto di stuoie. Recentemente, al posto di tronchi e foglie, vengono utilizzati materiali come cartone, plastica e lamiere. L'abito maschile è rappresentato semplicemente da una stoffa a quadri legata attorno al torace, mentre le donne indossano solo una gonna di pelle pieghettata, collane colorate, braccialetti e portano i capelli raccolti in treccine coperte da fasce di perline. Le ragazze di solito si sposano a 17 anni mentre i ragazzi quando ne hanno 20.

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Per tradizione pastori nomadi, i Daasanach si sono lentamente trasformati anche in agricoltori e abili pescatori. Coltivano sorgo, mais, zucche e fagioli. Il sorgo viene cotto con l'acqua in un porridge consumato con uno stufato. Il mais viene solitamente tostato e il sorgo viene fermentato per ottenere la birra. Negli ultimi anni la realizzazione della diga Gibe III ha messo in crisi queste coltivazioni possibili solo grazie alle esondazioni periodiche del fiume Omo. L'habitat dove vivono i Daasannach è molto arido, con temperature oltre i 35 gradi, in zona malarica e, lungo il fiume, infestato dalla mosca tze-tze. Il bestiame, capre e mucche, assume, come avviene spesso in Africa e non solo, un forte valore simbolico e rituale. Da esso si ricava oltre al latte e alla carne, anche il sangue (che viene bevuto) e quel poco abbigliamento che usano.

L’adozione a distanza ad Omo

A Omo, indentificato con il codice OMO, l’iniziativa del sostegno a distanza è stata attivata nel 2020 in collaborazione con le autorità locali che hanno individuato i nuclei familiari più poveri. Periodicamente il nostro staff locale si recherà nel villaggio per monitorare il progetto e incontrare i bambini. In questa occasione i nostri operatori ne constateranno le condizioni, il permanere dello stato di necessità, verificheranno i dati e scatteranno una foto. L’erogazione del sostegno si concretizzerà successivamente con il trasferimento della quota direttamente sul conto corrente della famiglia del bambino.

1 – Il termine “villaggio” da noi utilizzato per comodità, non è sempre riconducibile a un vero e proprio centro abitato: spesso identifica una città (ad esempio, Addis Abeba, Mugi, Wolkitè), in altri casi è riferito a una zona, un quartiere o una vasta area geografica, come nel caso di Dawro Konta.